di Alessandra Cavina, Coordinatrice del Gruppo di Lavoro dell’Hub del Territorio ER su Goal 5 – Parità di genere dell’Agenda ONU 2030
Dopo quasi due decenni di guerra in Afghanistan, a metà agosto 2021 i talebani hanno conquistato Kabul a poche settimane del ritiro previsto delle truppe statunitensi, conquistando il potere senza incontrare resistenze e costringendo migliaia di afghani a scappare dal proprio paese di origine. Abbiamo assistito negli ultimi giorni a scene strazianti di uomini, donne e bambini che cercavano disperatamente di poter trovare una via di fuga all’aeroporto internazionale della capitale, nella speranza di un futuro migliore lontano dalla propria terra, ormai devastata dai tanti anni di guerra continua. Il crollo del governo afghano è stato non solo il simbolo di una violenta sconfitta per le truppe americane insieme agli altri membri della NATO, ma anche simbolo di una incoerente politica internazionale attuata sul paese per anni da parte delle forze alleate e di una scarsa consapevolezza generale sul tema. Purtroppo però oggi chi ne paga le conseguenze è solo il popolo afghano. In particolare chi avrà pesanti ripercussioni saranno le donne che, l’ultima volta che questo gruppo militare aveva governato il paese venti anni fa, non se l’erano cavata bene.
Sono state costrette a sottostare alla tutela maschile, tenute fuori dalle università, dal governo e dal lavoro. Ora i talebani dicono che le donne avranno un posto in alcuni di questi spazi secondo la legge islamica, o Sharia. Ma date le diverse interpretazioni di queste leggi, è molto difficile dire cosa questo possa significare, e questo potrebbe vanificare ogni conquista fatta sino ad oggi da parte dei gruppi che da tempo sono presenti nel paese per conquistare molti di quei diritti sulle donne che ad oggi sono a rischio.
La lotta per i diritti delle donne in Afghanistan ha una storia che risale al diciannovesimo secolo, molto prima dell’ascesa dei talebani all’inizio degli anni ’90. Implica tensioni persistenti tra i diversi gruppi etnici, tra le popolazioni urbane e rurali, e tra il popolo dell’Afghanistan e il mondo esterno.
Da una parte gli attivisti di oggi possono ricordare numerosi riformatori afghani di successo, ma dall’altra parte sono da sempre stati in conflitto con un orgoglioso patrimonio culturale che valorizza profondamente la modestia e la castità femminile come parte dell’onore di una famiglia. In Afghanistan, l’onore di una famiglia è un elemento critico nel modo in cui le altre famiglie valutano la sua posizione sociale. Per queste ragioni, molti afghani, anche quelli che si oppongono con veemenza ai talebani, trovano che l’occidentalizzazione sia una tendenza culturale offensiva ed estremamente pericolosa.
Quindi è importante e fondamentale oggi che la comunità internazionale continui a sostenere i movimenti presenti nel paese per proseguire a garantire i diritti sulle donne che altrimenti avrebbero delle gravi ripercussioni sul lavoro, sulla formazione e sui media. Solo così si avranno le migliori condizioni per rendere i talebani responsabili delle loro parole e per porre alcune garanzie fondamentali come una governance inclusiva, rispetto dei diritti umani, accesso delle donne all’istruzione, al lavoro, agli affari, allo sport e a tutti gli altri aspetti della vita.
Come Hub del Territorio ER, nel perseguimento dell’Obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030, vogliamo continuare a creare conoscenza, consapevolezza e sensibilità su queste tematiche; per questo aderiamo all’iniziativa “Le donne afghane esistono” organizzata da The Economy of Francesco.